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attentati collegati Francia

Ci hanno preso per i fondelli per 24 ore. Ci hanno fatto credere che il massacro di giornalisti del Charlie Hebdo non avesse nulla a che fare con la seconda sparatoria, avvenuta ieri a sud di Parigi, che è costata la vita a una vigilessa.

La realtà salta fuori adesso: i due atti terroristici sarebbero collegati. Per essere più chiari: gli assalitori jihadisti per ore rintanati con una donna ostaggio dentro un capannone circondato da migliaia di agenti delle forze speciali, apparterrebbero alla stessa frangia terroristica di chi ha massacrato una poliziotta e ferito in modo gravissimo un collega. La Francia e l’Europa, dunque, hanno un motivo in più per restare con il fiato sospeso, soprattutto perché gli assassini del Charlie Hebdo dicono di voler morire da martiri. Mentre scrivo questo editoriale si attende ancora un atto risolutivo. Niente è lasciato al caso, perché non si può rischiare di far sfuggire i responsabili di una strage e nemmeno di versare altro sangue innocente. Nessuno lo perdonerebbe.

Ma al di là degli aspetti strategici, come sempre avviene all’indomani di un attentato con matrice religiosa, ecco scattare il valzer delle polemiche: chi si sbraccia per dire che non bisogna demonizzare l’Islam; chi preannuncia la speculazione delle forze politiche estremiste e xenofobe; chi si dissocia dallo slogan “Io sono Charlie”, sostenendo che non siamo degni del coraggio dei vignettisti francesi. Ognuno ha la sua opinione su tutto; il dato oggettivo è che qualcosa è cambiata in Europa. I gruppi Jihadisti sono intorno a noi: lupi affamati di vendetta, non proprio solitari.