
Sentire le intercettazioni tra due presunti mafiosi che si lamentano di Matteo Messina Denaro fa effetto. Per loro il capo dei capi sarebbe indifferente alle sorti della famiglia, e in particolare a tutti quegli affiliati che sono finiti in manette nell’ambito delle inchieste che lo riguardano.
Gli ultimi mal di pancia mafiosi sono sbucati a margine della recente indagine palermitana che ha fatto luce sull’omicidio di un ladro, assassinato nel 2009 per aver osato derubare un uomo vicino al boss latitante. In sostanza i picciotti eseguono gli ordini ma in più occasioni si chiedono dove sia finito il capomafia e quanto – nei fatti – gli interessi dell’organizzazione. E’ un ragionamento che fa vacillare il più elementare pilastro delle organizzazioni mafiose: quello della devozione al capo.
Ogni operazione che sgretola la famiglia scalfisce poco a poco quel muro di intoccabilità e silenzio che sta attorno al boss. E i magistrati sanno che prima o poi qualcuno potrebbe sentirsi orfano e cedere, voltando le spalle a chi le ha voltate a lui. Probabilmente lo ha capito anche Messina Denaro, che è sempre più solo e alle corde. Perché i nemici non sono sempre dall’altra parte della barricata.
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