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“sfoghi“

Capita a volte di rimanere turbati dalla crudeltà di certi sfoghi. Quello che ho ricevuto qualche giorno fa comincia così: "Caro Direttore, mi chiamo Pietro e mi vergogno molto a scriverle questa mail. Purtroppo la mia impresa è fallita dopo tanti anni passione; sono stato costretto a rivoluzionare il mio stile di vita, e con me mio figlio. Mio figlio è un diciottenne che lavora. Ha dimenticato la spensieratezza per dedicarsi a ogni genere di lavoretto: cameriere, cuoco, addetto alle pulizie. Viene sfruttato per pochi euro l'ora ma purtroppo non possiamo fare a meno di quei soldi, e io non so più se voglio andare avanti. Non chiedo soldi ma solo un abbraccio. Chiedo comprensione, perché là fuori nessuno me ne ha mostrata".

La lettera di Pietro è cruda e angosciante, e per questo ho deciso di renderla pubblica solo in parte. E' uno sfogo che racconta la realtà di tante famiglie siciliane. Quelle che non si sognano le vacanze a Formentera e che probabilmente si chiedono il perché di un divario così atroce tra ricchezza e povertà. E' l'emblema di un sistema balordo, fatto di rinunce e sfruttamento. Un ragazzino pagato pochi euro al giorno solo perché giovane; un uomo che ha superato la cinquantina costretto a sbarcare il lunario con 300 euro.

Quando ascoltiamo vicende simili sembra di avere davanti i tanti pronti a stringere le spalle, giustificandosi magari con un “mal comune mezzo gaudio”. Ma se c’è chi con lucidità arriva a ipotizzare conseguenze estreme, non posso non convincermi che “mal comune mezzo gaudio” sia solo un motto spietato e marcio. Figlio di una società spietata e marcia.

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