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Chissà con quale faccia, un giorno, qualcuno spiegherà al bimbo nato pochi mesi fa al Santo Bambino di Catania che la sua prigionia all’interno di un corpo martoriato da danni irreversibili è probabilmente frutto della condotta di alcuni medici.

Medici che avrebbero potuto e dovuto far partorire immediatamente la madre, ma non volevano fare tardi a lavoro e quindi avrebbero preferito somministrare un farmaco sbagliato, effettuato manovre pericolose e vietate dalle linee guida, alterato le cartelle cliniche. Sono circostanze che la Procura di Catania ha messo nero su bianco, così come i nomi delle tre dottoresse adesso sospese dalla funzione.

Ma, al di là della strada processuale, mi chiedo come un medico possa arrivare al punto di trattare un’emergenza come una scocciatura e la vita di un bambino come un contrattempo da liquidare. Manco si trattasse di scartoffie che è possibile rinviare a data da destinarsi. Forse dovrebbero essere proprio le tre dottoresse a tentare di spiegare al piccolo, un giorno, perché non potrà mai camminare, capire e vivere come tutti gli altri. L’unica prigione, in questa vergognosa storia, è toccata a lui.



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