“Vengo a portare un messaggio di fiducia alla Sicilia”, dice il premier Matteo Renzi in visita a Catania come se portasse il lieto annuncio. Del resto siamo in clima natalizio e il Presidente viene visto da molti come un Messia.
Ma dai proclami ai fatti passa molta acqua sotto i ponti. La Sicilia ha bisogno di risposte da questo governo: il tasso di disoccupazione sull’isola supera abbondantemente il 20% e la cifra quasi raddoppia se ci limitiamo a inquadrare la disoccupazione giovanile. Le problematiche delle periferie sono tante e serie, anche se Renzi non supererà il salotto buono della città e a Librino non metterà piede. Non parliamo delle condizioni in cui sono ridotte certe scuole, al limite dell’inagibilità.
Caro Presidente, lo slogan dell’ottimismo l’abbiamo già sentito in TV e ce l’ha ricordato in vent’anni di politica un altro tuo collega, ora impegnato in altri tipi di servizi sociali. Alla Sicilia importa poco se tu sei il nuovo che rottama il vecchio; ai siciliani interessa il pane, il lavoro e la dignità. Quella che abbiamo perso a suon di bunga-bunga a nostre spese.
Twitter: @aspitaleri
Slogan e striscioni a Palermo per la grande (doppia) protesta sindacale: da un lato la Fiom, dall’altra gli studenti. Trovarsi imbottigliati per quasi mezz’ora nell’occhio del ciclone offre spunti di riflessione di non poco conto.
“Perché protestate?”, chiedo a un quindicenne con la maglietta griffata che agita la folla a suon di slogan da spot tv. “Protestiamo perché bisogna farci sentire, qui va tutto male!”, è la sua risposta. “Ma cosa volete cambiare, di preciso?”, ribatto. “Non posso stare qui a dilungarmi, devo animare il corteo”, conclude l’adolescente prima di svignarsela.
L’impressione che ho avuto è la stessa che provo quando sento certi politici blaterare in TV di cose che non conoscono; un po’ come il ricco sfondato che ti parla del dramma povertà. Il problema, in Italia, è che siamo abituati alle scuse. Ci basta l’apparenza, l’inganno, l’estetica, non la preparazione e gli ideali. Lo stanno imparando bene le nuove generazioni. I politici del domani col DNA da tronisti.
Twitter: @aspitaleri
Malattia e sofferenza si tramutano sempre più spesso in un circo mediatico. Come si chiama il medico siciliano contagiato dal virus ebola mentre era in missione in Sierra Leone? Cosa ne pensa la moglie? Che ricordo ne ha il vicino di casa o il collega di lavoro? Tutto è ridotto a un grande Truman show; a un reality spregiudicato che non tiene conto minimamente dei gravi e veri problemi che vivono le persone.
Per colpa di chi, direbbe Zucchero. Per colpa di tutti. Dei giornalisti che puntano solo allo scoop morboso, e dei lettori che chiedono, comprano e seguono questo tipo di notizie. Un circolo vizioso, insomma, sulla pelle del malcapitato di turno.
Un tiro al bersaglio senza ritegno, irrispettoso, farcito spesso e volentieri da pillole di allarmismo esasperato. Basterebbe snocciolare due dati statistici per capire che l’ebola fa meno morti dell’alcool e delle sigarette; ed è una epidemia circoscritta e monitorata. Il virus della morbosità, quello si che è difficile da estirpare.