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L’ennesima tegola giudiziaria sul gruppo imprenditoriale che fa capo alla Tecnis, come all’Artemis e alla Cogip, sembra volerci insegnare che in Sicilia (almeno seguendo la tesi della Procura) non si muove assolutamente nulla senza coperture mafiose ad alti livelli.


QUANDO MIMMO COSTANZO PARLAVA DI ANTIMAFIA

La fortuna dei vari Costanzo e Bosco - già finiti nei guai per corruzione nell’inchiesta Dama nera - sarebbe dunque collegata al gioco delle protezioni: Cosa nostra benedice gli affari e scongiura spiacevoli inconvenienti, in cambio entra nella partita con assunzioni, corresponsione di denaro e con la più classica ‘messa a posto’. Succede tutto questo nella Sicilia degli scandali quotidiani e delle due facce della stessa medaglia. Già, perché se da un lato si parla di sequestri miliardari, dall’altro si assiste alla crisi nera di centinaia di dipendenti della stessa Tecnis, che da mesi attendono il pagamento dei loro stipendi.

Se da un lato si parla di collegamenti mafiosi, dall’altro è curioso pensare che gli stessi imprenditori oggi accusati sbandieravano protocolli di legalità e accorate arringhe contro l’omertà. Eppure, per i magistrati, le loro autostrade si reggono sui pilastri della mafia.

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