La guerra al terrore a colpi di proclami

Per due giorni, a parte la doverosa cronaca dei fatti, ho preferito non esprimere pareri personali sull’orrore di Parigi e sull’impatto enorme che una strage simile può avere sulla platea mondiale che assiste a un secondo 11 settembre. Come al solito c’è chi si è servito della strage per fini pre-elettorali; chi ha tirato acqua al mulino del populismo, altri (purtroppo anche giornalisti e direttori di testata) pur di ottenere 24ore di popolarità e il 100% di copie vendute si sono cimentati in titoli a nove colonne talmente odiosi da farci pensare a un attentato, si, ma alla pubblica decenza.


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Io odio i terroristi: quelli musulmani, quelli atei e quelli cristiani. Ma se riduciamo la strage di Parigi alla religione degli attentatori, finiamo per offrire un servizio scadente a chi legge i giornali. E’ vero che una frangia musulmana ha utilizzato alcune ambiguità del Corano per alimentare una guerra sanguinaria, ma è altrettanto vero – e non è certo uno scoop – che le armi e i soldi ai terroristi sono stati storicamente forniti dall’occidente che si indigna e piange ai funerali. Lo stesso Occidente che chiede coraggio ma finita la parata si mette in riga e toglie l’occasione.

Per capire questo ragionamento, basterebbe leggere l’articolo di fondo di Paolo Mieli sul Corriere di ieri. Scopriremmo, per citare due esempi, che qualche giorno prima dell’attentato di Parigi c’era chi riteneva inopportuno da parte del presidente Hollande il non aver bandito il vino da una cena organizzata alla presenza dell’iraniano (musulmano) Hassan Rohani. E che dire della raccomandazione da parte di Oxford University Press ai suoi autori di eliminare dai testi scolastici le parole “maiale” e “carne di maiale” per non offendere musulmani ed ebrei? Uno dei peggiori difetti dell’Europa è la sua ambiguità bipolare. Un giorno accusa gli islamici, chiamandoli bastardi; un altro si inchina sul tappeto pregando verso la Mecca e togliendo i crocifissi dalle scuole.

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