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Per chi fa il giornalista spesso è difficile capire quando è ora di fermarsi: cosa è inopportuno, cosa supera la notizia, cosa è di cattivo gusto. Succede quindi, e non di rado, che per la corsa allo ‘scoop’ si perda di vista il senso del contegno e della dignità. Quella umana, prima ancora di quella professionale.

Sul suicidio di una ragazzina di appena 14 anni, qualche giorno fa, su diverse testate online ho letto un po’ di tutto. C’è chi ha messo in bella vista il nome, chi ha scandagliato dalla prima all’ultima conoscenza della studentessa. Con la scusa della ‘notizia’, spesso, si calpesta il dolore di chi soffre. Ci può anche stare, in alcuni casi, ma non quando la cronaca diventa morbosità. Non quando una famiglia già distrutta due volte deve subire l’affronto del giudizio pubblico; la condanna immorale di chi ficca il naso dentro le macerie di una famiglia.

Il giornalismo urlato è divertente quando parla di gossip; il giornalismo duro è necessario quando scava nel fango della corruzione e del malaffare. Ma un bravo giornalista, davanti al dolore autentico, dovrebbe solo abbassare la voce.



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