cimitero nostrum

Quella di ieri è stata probabilmente la tragedia del mare più imponente che si ricordi nel Mediterraneo. Un mare cimitero dove non ci sono croci ma ci sono martiri; dove ci sono i soccorsi ma non c’è organizzazione.

Che ci piaccia o no, se non si appronta alla base una rete di monitoraggio che parta fin dalle coste martoriate dalle guerre, l’ecatombe dei 700 morti non sarà l’ultima e nemmeno la peggiore. In Libia non c’è un governo in grado di monitorare gli schiavisti, e questo è un dato di fatto. Gli organismi internazionali possono continuare a far finta di nulla, intervenendo quando la frittata è fatta; partecipando ai funerali con i fiori e le bare bianche, oppure mettere velocemente in atto una risposta decisa. Blocco navale previa risoluzione dell’ONU? Può essere una soluzione, ma solo transitoria: perché se è vero che non si possono abbandonare al proprio destino i richiedenti asilo, è anche vero che l’Europa deve aprire le frontiere e fare mea culpa.

Fingiamo infatti di non sapere che l’origine delle guerre in nord Africa nasce anche dagli interessi sporchi dei Paesi che vendono o procurano le armi; che lucrano sulle guerre civili e hanno aiutato ad azzerare Governi totalitari prima ancora che i paesi “liberati” fossero in grado di creare un sistema giuridico e democratico. Libia, Egitto, Tunisia, sono stati abbandonati a sé stessi dopo i raid militari: incapaci di creare una forma stabile di governo rischiano ora di finire (e in parte già sono finiti) nelle mani degli integralisti islamici che impongono la sharia. Quei disperati che muoiono in mare sono dunque doppiamente vittime dell’ipocrisia internazionale. Ma questa storia in pochi la raccontano: molto più semplice guardare il dito, quando il dito indica la luna.

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