I camici bianchi sporcati dall’unto della corruzione; dalle laute mance, dalle assunzioni dei familiari e dai compensi gonfiati. I malati, quelli che col cuore in mano si affidavano ciecamente ai medici curanti, trattati come “pacchi regalo” da dirottare in questo o quel centro di dialisi privato, quando avrebbero potuto benissimo essere curati in strutture pubbliche.
Ci sono pagine e pagine di vergogne nell’ordinanza che ieri ha portato ai domiciliari cinque persone, tra medici e imprenditori del Catanese. Per non farsi mancare nulla, nell’inchiesta è saltato fuori anche il nome di un lontano parente del boss latitante Messina Denaro. Gli scandali che investono la sanità ormai sono tanti e tali che dovremmo non stupirci più quando scopriamo che c’è chi proprio non sa resistere al fascino della mazzetta.
Ma quando dalle intercettazioni emergono dialoghi vergognosi tra corrotti e corruttori, che parlano dei malati come “numeri da portare”, cioè strumenti sulle cui disgrazie far soldi, mi accorgo che esiste un gradino più basso rispetto allo scandalo. Perché sotto i camici puliti talvolta si annida il peggior squallore.
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